Essere licenziati per giusta causa è uno scenario che nessuno vorrebbe mai affrontare. Si tratta di una delle situazioni più delicate e complesse che possono verificarsi in ambito lavorativo, capace di avere un impatto significativo sia sulla carriera che sulla vita personale di chi ne è coinvolto. Ma cosa si intende esattamente per licenziamento per giusta causa? Quali sono le motivazioni che lo giustificano e, soprattutto, quali sono le conseguenze per chi lo subisce?
Quando si parla di licenziamento per giusta causa?
Premesso che il licenziamento consiste nella cessazione unilaterale del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro, il licenziamento per giusta causa costituisce una delle tre tipologie di licenziamento previste dalla legge italiana, ovvero:
- licenziamento per giusta causa
- licenziamento per giustificato motivo (oggettivo o soggettivo)
- licenziamento collettivo (per messa in mobilità o per riduzione del personale)
Il licenziamento per giusta causa, come fa intendere il termine stesso, avviene a seguito di un grave inadempimento da parte del lavoratore, tanto grave da compromettere la fiducia del datore di lavoro nei suoi confronti e impedire la prosecuzione del rapporto di lavoro.
Questa tipologia di licenziamento è regolata dall’articolo 2119 del Codice civile, che legge:
Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto.
Giusta causa e giustificato motivo soggettivo: differenze
Il licenziamento per giusta causa e il licenziamento per giustificato motivo soggettivo sono considerati licenziamenti disciplinari, poiché avvengono per ragioni connesse alla condotta del lavoratore.
In entrambi i casi viene meno il rapporto fiduciario tra il datore di lavoro e il lavoratore. Tuttavia, ciò che distinguere queste due tipologie di licenziamento è la gravità del fatto che porta all’interruzione del rapporto di lavoro:
giusta causa | giustificato motivo soggettivo | |
DEFINIZIONE LEGALE | “una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto” | “un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro” |
GRAVITÀ | più grave – la condotta del lavoratore è tanto grave da impedire la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro | meno grave – la condotta del lavoratore non è così grave da interrompere immediatamente il rapporto di lavoro |
CONSEGUENZE | il licenziamento ha effetto immediato (nessuna indennità) | il lavoratore ha diritto a un periodo di preavviso (indennità di preavviso) |
ESEMPI | furto di beni aziendali, insubordinazione grave, minacce o violenze verso colleghi o superiori | ripetuti ritardi ingiustificati, negligenza nello svolgimento delle mansioni, violazione delle direttive aziendali |
Cause di licenziamento per giusta causa
Cosa si intende per giusta causa? In linea di principio, dev’esserci proporzionalità tra il licenziamento e il fatto contestato al lavoratore. Secondo quanto previsto dal Codice civile, si può parlare di giusta causa “qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”. In altre parole, se il comportamento del lavoratore è tanto grave da aver pregiudicato il rapporto di fiducia intercorrente con il datore di lavoro, il licenziamento è legittimo.
Alcuni esempi di giusta causa sono:
- insubordinazione
- rifiuto ingiustificato e reiterato a eseguire la prestazione lavorativa
- rifiuto a trasferirsi in altra sede o cambiare mansioni (purché equivalenti e non dequalificanti)
- violazione dell’obbligo di fedeltà, comportamento sleale
- furto, sabotaggio o danneggiamento di beni aziendali
- illeciti a danno del patrimonio aziendale
- condotta extralavorativa penalmente rilevante
- diffamazione
- comunicazioni con contenuti gravemente offensivi
- minacce o violenze nei confronti del datore di lavoro o di colleghi
- falsa malattia o infortunio
- svolgimento di attività lavorativa durante la cassa integrazione
- lavoro per terzi durante un periodo di malattia
- assenteismo ingiustificato e prolungato
- falsa timbratura del cartellino
- abuso dei permessi (Legge 5 febbraio 1992, n. 104)
- violazione del patto di non concorrenza
- abbandono ingiustificato del luogo di lavoro in una situazione in cui l’incolumità e la sicurezza dei colleghi sono messe in pericolo
Procedura del licenziamento per giusta causa
Una volta accertata la condotta scorretta contestata al lavoratore, il licenziamento per giusta causa ha effetto immediato e non prevede un’indennità di preavviso. Questo significa che il dipendente non ha diritto a un periodo di preavviso tra la comunicazione del licenziamento e l’ultimo giorno di lavoro, e deve interrompere immediatamente la prestazione lavorativa.
Tuttavia, per garantire la legittimità del procedimento, il datore di lavoro deve seguire una procedura ben definita:
Contestazione scritta
- Il datore di lavoro deve inviare al dipendente una lettera di contestazione scritta, che riporti con chiarezza e precisione i fatti contestati.
- La lettera deve essere consegnata a mano o inviata tramite raccomandata con avviso di ricevimento
- Uno degli elementi fondamentali della procedura è il principio di immediatezza della contestazione. Questo principio stabilisce che la contestazione deve essere effettuata entro un breve lasso di tempo dalla conoscenza del fatto illecito da parte del datore di lavoro. Se il datore di lavoro ritarda eccessivamente, potrebbe compromettere il diritto del lavoratore a difendersi, rendendo il licenziamento illegittimo.
Termine per la difesa del lavoratore
- Dal momento della ricezione della contestazione, il lavoratore ha 5 giorni di tempo per presentare la propria difesa.
- La difesa può essere presentata in forma scritta o orale e il dipendente ha il diritto di farsi accompagnare da un rappresentante sindacale. In questa fase, non è consentita l’assistenza di un avvocato.
Decisione finale del datore di lavoro
- Concluso il termine per la difesa, il datore di lavoro deve comunicare per iscritto la decisione finale.
- La comunicazione deve essere chiara e tempestiva.
Diritti del lavoratore
Il licenziamento, in qualsiasi forma esso avvenga, è un momento delicato nella carriera di un lavoratore. Tuttavia, è importante sapere che la legge italiana prevede una serie di tutele e diritti specifici per garantire un trattamento equo anche in situazioni difficili.
Contratto a tempo indeterminato: stabilità e limiti
Il contratto a tempo indeterminato offre una maggiore stabilità rispetto ad altre forme contrattuali, ma non garantisce l’immunità dal licenziamento. Anche in questo caso, il datore di lavoro deve rispettare le norme previste dalla legge.
Il licenziamento è possibile per giusta causa o per giustificato motivo (oggettivo o soggettivo). In caso di licenziamento, il lavoratore a tempo indeterminato ha diritto a un periodo di preavviso congruo (in genere stabilito per contratto o dal contratto collettivo applicabile).
Categorie protette
Le categorie protette rappresentano un gruppo di lavoratori che la legge tutela in modo particolare per favorire la loro integrazione nel mercato del lavoro. Ma chi appartiene alle categorie protette?
Tra i soggetti tutelati troviamo (ex. Legge 12 marzo 1999, n. 68):
- invalidi del lavoro (percentuale di invalidità pari o superiore al 34%)
- invalidi civili (percentuale di invalidità pari o superiore al 46%)
- invalidi di guerra, invalidi civili di guerra e invalidi per servizio
- non vedenti e non udenti
- orfani e coniugi superstiti di vittime del lavoro, di guerra o di servizio nelle pubbliche amministrazioni (inclusi gli orfani, le vedove e i familiari delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata)
- coniugi e figli di soggetti riconosciuti grandi invalidi per causa di guerra, lavoro e servizio
- profughi italiani rimpatriati
Anche i lavoratori appartenenti alle categorie protette possono essere licenziati, ma solo in specifici casi:
- giusta causa: comportamenti gravi che compromettono il rapporto di fiducia con il datore di lavoro.
- giustificato motivo: oggettivo (es. crisi aziendale) o soggettivo (es. aggravamento delle condizioni di salute che impediscono lo svolgimento delle mansioni)
In caso di licenziamento, il datore di lavoro è tenuto a notificare la decisione agli uffici competenti entro 10 giorni, per garantire la sostituzione con un altro lavoratore che abbia diritto all’avviamento obbligatorio.
Tutele aggiuntive per la gravidanza
Sebbene la gravidanza non rientri tecnicamente tra le categorie protette, la legge prevede importanti tutele. Secondo la normativa italiana, le lavoratrici non possono essere licenziate dall’inizio del periodo di gravidanza fino al compimento del primo anno di età del bambino. Il divieto di licenziamento si estende anche al periodo di congedo di maternità e include la sospensione dell’attività lavorativa, salvo casi specifici di chiusura aziendale.
Eccezioni al divieto di licenziamento: giusta causa, cessazione dell’attività aziendale, fine del contratto a tempo determinato, esito negativo del periodo di prova.
Indennità NASpI e TFR
Il lavoratore licenziato ha diritto a una serie di garanzie economiche e previdenziali. Il licenziamento per giusta causa, nonostante la gravità, è considerato una perdita involontaria del lavoro. Pertanto, il lavoratore può richiedere l’indennità NASpI, purché soddisfi i seguenti requisiti:
- Contributi: almeno 13 settimane di contribuzione negli ultimi 4 anni precedenti la perdita del lavoro.
- Décalage: l’importo si riduce del 3% al mese a partire dal sesto mese di fruizione (o dall’ottavo mese per i lavoratori over 55).
La NASpI è erogata per un numero di settimane pari alla metà delle settimane contributive degli ultimi 4 anni. Ad esempio, con 24 mesi di contributi, il diritto alla Naspi si estende per 12 mesi. La NASpI non è cumulabile con altri redditi da lavoro subordinato o autonomo durante il periodo di fruizione.
Oltre alla Naspi, il lavoratore ha diritto al trattamento di fine rapporto (TFR), che viene calcolato sulla base della retribuzione lorda percepita e degli anni di servizio prestati presso l’azienda.
Ferie non godute
Un aspetto spesso trascurato riguarda il trattamento delle ferie non godute in caso di licenziamento. Secondo la Corte di Cassazione (ordinanza 11 luglio 2023, n. 19659), il licenziamento senza preavviso non priva il lavoratore del diritto a ricevere un’indennità sostitutiva per le ferie maturate ma non usufruite.
Il datore di lavoro deve dimostrare di aver invitato formalmente il dipendente a usufruire delle ferie. Se ciò non avviene, il lavoratore ha diritto all’indennità anche in caso di licenziamento disciplinare.
Licenziamento illegittimo: come contestare il licenziamento
Il licenziamento è illegittimo in assenza di giusta causa (licenziamento annullabile), quando è intimato per ragioni discriminatorie o per motivi illeciti (licenziamento nullo) o qualora non vengano rispettate le modalità procedurali stabilite per legge, ovvero forma scritta, rispetto della procedura e comunicazione degli specifici motivi (licenziamento inefficace).
In caso di licenziamento illegittimo, è possibile contestarlo. Ecco i termini stabiliti per legge:
- Il licenziamento deve essere impugnato in forma scritta entro 60 giorni dalla ricezione della comunicazione di licenziamento. L’impugnazione stragiudiziale può avvenire con qualsiasi atto scritto (in genere raccomandata o PEC), purché idoneo a rendere nota al datore di lavoro la volontà inequivoca del lavoratore di impugnare il licenziamento.
- Il lavoratore è poi tenuto ad avviare la causa contro l’azienda, ovvero depositare il ricorso giudiziale contro l’atto di licenziamento, entro 180 giorni dalla spedizione dell’impugnazione stragiudiziale. Come? L’avvocato del lavoratore deve depositare nella cancelleria del Tribunale del lavoro competente l’originale dell’atto di ricorso (oppure inviare alla controparte una richiesta di conciliazione o arbitrato).
Qualora venga accertata l’illegittimità del licenziamento, l’autorità giudiziaria può disporre:
- la reintegrazione del lavoratore, fatta salva la possibilità per il lavoratore di optare per la risoluzione definitiva del rapporto e ricevere un'indennità sostitutiva (in aggiunta all’indennità risarcitoria);
- il pagamento da parte del datore di lavoro di un’indennità risarcitoria;
- il versamento da parte del datore di lavoro della contribuzione previdenziale e assistenziale.
Queste forme di tutela a favore del lavoratore variano a seconda della dimensione dell'azienda, della gravità del vizio che inficia il licenziamento e della data di assunzione del lavoratore (prima o dopo il 7 marzo 2015).
Mancata impugnazione del licenziamento
Se un lavoratore non impugna il licenziamento entro i termini legali, perde il diritto di contestarlo.
Conseguenze principali:
- Perdita del diritto di contestazione e delle tutele legali – Trascorsi i termini senza impugnazione, il licenziamento non può essere più contestato, nemmeno con nuove prove. Il lavoratore non potrà più richiedere la reintegrazione, l’indennità risarcitoria o altre forme di tutela previste in caso di licenziamento illegittimo.
- Conseguenze economiche – Il lavoratore non potrà richiedere alcun risarcimento, né il recupero delle retribuzioni arretrate o della contribuzione previdenziale eventualmente non versata.
- Conferma del licenziamento – Il provvedimento diventa definitivo e incontestabile.
Eccezioni: In casi particolari, come il licenziamento orale, il termine di 60 giorni per l'impugnazione potrebbe non applicarsi. In tali situazioni, il lavoratore può agire per far dichiarare l'inefficacia del licenziamento senza l'onere di una previa impugnativa stragiudiziale, rispettando solo il termine di prescrizione di cinque anni.